Tema del Workshop

La conoscenza del mondo passa attraverso il nostro corpo: la vista ha potuto sviluppare strumenti molto raffinati per immagazzinare, manipolare e interpretare i dati che la colpiscono, l’udito è “in fasce” ed è ancora alle prese con strumenti e metodi da verificare (Barbanti, 2015; Bull, Back, 2003; Calanchi, 2015; Favaro, 2010). Se non ci si può esimere dal sentire (l’apparato udivo è costantemente sollecitato anche al di là della nostra volontà) l’azione dell’ascoltare – dal latino Auscultare da Ausiula diminutivo di Ausis (orecchio) e quindi porre l’orecchio – richiede un atto consapevole e intenzionale. La consapevolezza e l’internazionalità permettono l’avvio di processi in cui le percezioni uditive vengono poste al centro (Schäfer, 1992; Schäfer, 1985; Minidio, 2005).

Ogni suono, infatti, reca con sé informazioni circa lo spazio nel quale esso prende forma, può dirci qualcosa sul luogo, i suoi abitanti, le loro attività (Pisano, 2017; Calanchi e Laquidara, 2017; Marchetta, 2010). Il suono ci parla, ci informa, ci costringe, ci persuade a pensare e sentire (Erkizia, 2017; Morelli, 2010; Cox, 2014). Esso racconta e ci rimanda indietro nel tempo, possiede una carica evocativa (Minidio, 2005). L’esperienza e i ricordi di ogni individuo sono costellati da suoni, presenti o passati (Convery, Corsane, e Davis, 2012; Truax, 2008). Il suono è infatti un cronotopo, ovvero un « “oggetto territoriale” che “condensa un certo tempo e un certo luogo e cristallizza energia e informazione» (Rocca, 2016 p. 82). Esso è espressione del controllo materiale che l’uomo ha esercitato sul territorio nel tempo, ma anche riflesso dell’organizzazione di un certo periodo. Dà l’idea dell’evoluzione di un territorio. Il suono è inoltre pervasivo e occupa ogni spazio, ma, allo stesso tempo, è effimero, fuggente. Non è mai uguale, non rimane fisso, cambia continuamente; esso varia a seconda dell’ora e del posto in cui lo si ascolta (Erkizia, 2017). I suoni attorno a noi permettono, infatti, di dare forma allo spazio che ci circonda e sono una componente fondamentale della nostra esperienza di vita (Barra, Carlo, 2009, p. 32). Il suono contribuisce ad instaurare con il luogo un legame identitario. Esso è parte costituiva della nostra cultura, tanto che viene riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio immateriale e componente essenziale del paesaggio (UNESCO, 2003). La Careggi Landscape Declaration on Soundscape (2012), infatti, rifacendosi alla Convenzione Europea sul Paesaggio, definisce il Paesaggio Sonoro come: «la proprietà acustica di qualsiasi paesaggio in relazione alla percezione specifica di una specie (…) è il risultato delle manifestazioni e dinamiche fisiche (geofonie), biologiche (biofonie) e umane (antropofonie)» (2012).

Molte proprietà della dimensione sonora sono anche al centro delle pratiche e delle esperienze teatrali: dalla conoscenza attraverso il corpo alla condensazione di uno spazio-tempo, dalle fondamentali interazioni con il tempo presente alla composizione antropologica di legami identitari. La dimensione sonora dell’esperienza teatrale è da sempre centrale nella cultura scenica occidentale, molto legata a una importante tradizione di prosa che ne ha definito spesso i principali sviluppi, ma non è stata adeguatamente tenuta in conto rispetto ai suoi influssi sui processi creativi e drammaturgici. Una ricerca sullo spazio dei suoni nel teatro è ancora ai suoi inizi, ma sta trovando nelle attività all’Accademia Teatro Dimitri un terreno fertile sia nelle riflessioni sul paesaggio sonoro del teatro fisico (Quadri, 2017), sia in progetti in preparazione come l’indagine su comicità, musica ed effetti sonori che la musicologa Anna Stoll Knecht avvierà nel corso del 2019 (“Music and Clowning in Europe, 20th-21st Centuries”).